martedì 3 aprile 2012

Vene

Chissà quante vene abbiamo. Un sacco, penso. Portano il sangue a spasso per il nostro corpo, ci fanno vivere. Ho spesso pensato che tutti abbiamo delle vene, immaginarie s'intende, per i sentimenti. Ci sono le vene dell'amore che spesso si gonfiano, fino quasi a esplodere. Come le vene in esposizione dei culturisti, o quelle in evidenza di chi é troppo magro. Vene che quando scorre il sentimento ti fanno stare bene.

A volte c'è chi forzando troppo le vuole vedere gonfie per forza. Prende un laccio emostatico e le stringe, fino a farle scoppiare. Ma non si possono forzare i sentimenti. C'è chi intossica il proprio amore con un ago, mettendoci dentro del veleno. C'è chi quella vena ce l'ha ben nascosta e non vuole mostrarla a nessuno.

Anche io ho avuto questa vena spesso gonfia. Ultimamente ha tentato di nascondersi, ma il laccio emostatico non lo voglio usare, non é giusto. Dovrebbe gonfiarsi naturalmente. Oggi il cielo grigio piombo é come se ce l'avessi sopra la testa, a pochi centimetri. Sento soffocare. Vedo il palazzone fuori dalla mia finestra sempre più tetro e vuoto.

Le rondini non si vedono. E la vena della mia malinconia s'ingrossa. Senza laccio emostatico.

Lascerò che si sgonfi da sola, non posso far altro che aspettare...

domenica 25 marzo 2012

Respiro

Da piccolo mi divertivo a buttare oggetti sul fondo della piscina e recuperarli nel più breve tempo possibile. Scendere in apnea, sentire la pressione nelle orecchie, trattenere fino allo spasimo il respiro. La sensazione stupenda della risalita, quando con la bocca spalancata riprendi fiato. Mi é sempre piaciuta quella sensazione. Una botta di adrenalina, una risalita verso la vita. Nutrimento fresco e puro per un bambino.

Da grande non ho perso il vizio. Solo che le discese in apnea e le risalte verso l'aria sono più che altro metaforiche. Discese in picchiata. Di quelle che fanno male, di quelle capaci di toglierti il fiato. Quelle discese che fai in una sorta d'incoscienza, perché ci avevi messo l'anima ma nonostante tutto crolla e frana il tuo castello di sogni.

Restare sul fondo. Molte volte l'ho pensato. Stavolta non ce la farò, rimango qui. Planare in picchiata verso l'abisso e crogiolarsi in un senso di sconfitta e di impotenza é una forte tentazione. Ammetto di averlo fatto  a volte. Mi appiccicavo addosso l'etichetta di sfigato e me ne stavo sul fondo. Giusto per cercare qualche parola di conforto che mi aiutasse a restare saldamente a picco. Come un'ancora che non ne vuole sapere di risalire.

Alla lunga il fondo però stanca. Non ce la faccio, non é da me. Allora la smetto di vedere il nero che mi circonda e inizio a sentire la luce e l'energia attorno a me. Ho di nuovo voglia di respirare. Ci sono due situazioni che possono salvarti, o che di solito m'hanno salvato.

O cerchi dentro di te la forza di risalire o qualcuno ti tende una mano per uscire dal pantano. E devi essere, in entrambi, le occasioni pronto a risalire su. Ultimamente sono finito a fondo. Pensavo che mettere speranze, progetti, ambizioni in una persona non valesse più nulla. Tempo perso. Stupido, stupido, stupido. Come ogni volta, come sempre.

E me ne stavo sul fondo, con nessuna voglia di risalire. Guardando gli altri fare grandi discorsi sulla vita e snobbandoli da cinico stronzo. Ma ho la scorza molle: la mia si buca e si scioglie facilmente. In fondo sono un povero stronzo buono.

Mi piace la sensazione di quest'ennesima mano che mi tira su per farmi respirare. Mi piace pensare di avere qualcuno che ti pensa. Mi piace pensare a mille cose da fare. Mi piace pensare a un sole che splenda per due.
Stupido, stupido, stupido. Ancora una volta. Ma intanto risalgo. E respiro, finalmente!

venerdì 23 marzo 2012

Cuscini e pensieri

Girarsi e rigirarsi. Stare con gli occhi aperti nel silenzio di una stanza, ammantato dal silenzio di un'intera città che dorme. Ascoltare il rumore delle auto che passano in attesa che Morfeo, o chi per lui, ti prenda tra le sue braccia e ti faccia dormire.

Mi sono sempre chiesto cosa pensino le persone prima di andare a dormire. Forse più semplicemente molti dormono direttamente e non pensano a nulla. Ma molti altri credo che avranno tanti pensieri. Di solito a me viene una strana sensazione di angoscia, di paura. E' giusto quel che faccio? Faccio abbastanza? Che futuro avrò?

Almeno la mattina dimentico tutto e riparto con slancio. Cosa avrà pensato ieri Pasquale Pacifico, pm antimafia di Catania? "Sparagli 32 colpi tutti in testa" scriveva in un pizzino un boss a un suo sodale. Lo volevano morto. Pacifico era un "cesso" perché li aveva fatti arrestare, perché aveva sventato una guerra di mafia e inferto duri colpi al clan dei Carateddi.

L'ho sentito al telefono. Come immaginavo non ha voluto commentare. Ha un accento simpatico e cordiale, è napoletano. Uno di quei campani che rompe i soliti stereotipi di furbizia e nullafacenza. E' uno di quei campani tosti che il suo lavoro riesce a farlo bene. Alle agenzie ha detto che un pm antimafia deve mettere in conto certe cose, ma ha aggiunto di essere sereno.

Gli avrei voluto fare mille domande, ma per rispetto ho gentilmente salutato. Forse sarei anche sembrato un coglione. Gli avrei chiesto: "Cosa penserà stanotte, prima di dormire?".

Io ho pensato a questo eroe silenzioso. Un eroe a cui solo oggi dedicheranno delle prime pagine. Poi ritornerà nel cono d'ombra nel quale lavora. Ritornerà nelle difficoltà della Procura e attorniato da uomini armati continuerà a fare il suo lavoro. Se ci pensassimo tutti un po' di più a questi eroi indubbiamente avremmo una coscienza migliore.

domenica 11 marzo 2012

Le catene del silenzio

Suona il mio cellulare. Strano, è sabato e non lavoro per il mio giornale. Dovrebbe stare in silenzio. Vedo sul display quel nome. Lo conosco bene, anzi conosco bene la sua storia. Ci avevo anche scritto un articolo che avevamo concordato da tempo su mia sollecitazione.
Una storia cruda, siciliana. Una storia di racket, estorsioni e paura. Tanta paura. Così tanta da farti impazzire, toglierti il sonno, farti passare ore e ore dalle forze dell'ordine, risucchiare ogni tua energia vitale. Mi chiede aiuto, non ce la fa davvero più a vivere così.

E tu resti un attimo a pensare a quello che puoi fare. Pensi che per te il lavoro di giornalista non è solamente trovare una buona notizia, fare la tua intervistina ed essere contento del tuo bravo pezzo da ragazzo diligente. No, non è solo questo fare il giornalista. Fare il giornalista vuol dire immergersi nella realtà, ascoltare le persone, capire i loro problemi, i loro drammi. Aiutarli. Dare voce a chi non ne ha.

Adesso quel nome non ha voce. Io ho cercato di dargliela ma i risultati sono stati molto modesti. Le catene del silenzio l'hanno avvolto. L'indifferenza dei tanti benpensanti e moralisti prét-a-porter dell'antiracket lo sta dilaniando. Quel nome per me, ormai, non è un semplice "caso" o una semplice "notizia giornalistica". Per me è un amico da aiutare. E più si sente solo più mi convinco che è giusto marciare assieme a lui.

Cerco di trovare le parole giuste. Non bisogna dare a nessuno speranze illusorie, specie dopo tutte le bastonate prese dalla vita. Ma spiego come ci si può muovere. Occorrono orecchie pronte ad ascoltarti. Di quelle ce ne sono tante ma devono essere collegate a mani pronte ad agire concretamente.

La domenica la passo nell'immobilismo. Le orecchie che dovrebbero ascoltarmi si stanno tutte riposando. E ci può anche stare. Da domani inizierà un'altra battaglia per rompere le catene del silenzio. Catania è terribilmente bella da togliere il fiato. Sa anche essere, come tutte le bellissime donne, spietata e senza cuore.

La cesoia per rompere le catene del silenzio la dovrebbero avere tutti i giornalisti. Solo che a volte è troppo difficile riuscire a trovarla.